Flatlandia

1024 691 STUDIO MASSIMO IARUSSI

Nel racconto “Flatlandia”, Edwin Abbot narra di un mondo a due dimensioni, e del turbamento vissuto dal protagonista quando scopre dell’esistenza di un universo tridimensionale.

Gli abitanti di Flatlandia sono linee, triangoli, poligoni e cerchi, che si muovono sulla superficie che per loro rappresenta l’Universo intero. Essi sono condannati a vedersi l’un l’altro come semplici segmenti giacché, mancandogli la terza dimensione, non possono elevarsi dal piano su cui vivono per abbracciarlo in un unico sguardo: di ogni figura vedono perciò la sola proiezione visibile dalla superficie stessa, che è sempre rappresentata appunto da un segmento.

Il protagonista narratore, un Quadrato, viene a conoscenza dell’esistenza della terza dimensione grazie all’incontro con una Sfera, che gli rivela i segreti di “Spacelandia”, il mondo tridimensionale da cui proviene, e lo investe del compito di diffondere presso i suoi concittadini  la Verità di cui è stato messo a parte. Il Quadrato non riuscirà però nella sua missione: una realtà tridimensionale è talmente inconcepibile per la gente di Flatlandia, che il poveretto finirà imprigionato come impostore e sovversivo.

Ecco: qualche volta mi capita di ripensare a questo piatto mondo immaginario. Alcune illuminazioni di facciate e monumenti mi sembrano appunto concepite da un abitante di Flatlandia, vissuto nella totale inconsapevolezza della terza dimensione.  Rilievi minuti ingigantiti dalle ombre sproporzionate di una disdicevole luce (troppo) radente o, al contrario, volumi massicci appiattiti da una altrettanto sconveniente luce (troppo) frontale trovano la loro ragione d’essere solo nel fatto che, probabilmente, chi li ha ideati non aveva materialmente la possibilità di discernerli.

Purtroppo, non possiamo contare sulla  divulgazione della Verità da parte del povero Quadrato, condannato a finire i suoi giorni in galera. Possiamo però ancora sperare che da Spacelandia torni la Sfera, a rivelare a costoro le meraviglie della terza dimensione.

Dal Blog di Massimo Iarussi