Un mestiere normale

1024 576 STUDIO MASSIMO IARUSSI

Faccio il progettista della luce; il lighting designer, come dicono i più. Ogni volta che, in un gruppo di persone appena conosciute, mi chiedono quale sia la mia professione, i commenti alla mia risposta sono sempre fra lo stupore e l’ammirazione: “…è un lavoro molto interessante…; una cosa importantissima…; si vedono in giro tante cose che sarebbero bellissime se solo non fossero illuminate così male…”; e così via. Tutti sono incuriositi, tanti sono affascinati, molti sono entusiasti, alcuni sono addirittura invidiosi.

Mi sento allora molto lusingato, qualche volta finanche imbarazzato, e trovo conferma alla mia condizione di privilegiato: non soltanto faccio un mestiere che mi piace, ma questo gode anche di grande considerazione sociale.
La cosa buffa però, è che questa considerazione resta soltanto un argomento di conversazione, fra persone appena conosciute. Nella vita professionale di tutti i giorni, devo spendere gran parte del mio tempo a convincere i clienti che la mia è una attività per la quale, in fin dei conti, val la pena di spendere un po’ di danaro. E mi devo scontrare con chi la stessa professione dice di esercitarla,  ma in realtà mira ad altri fini, e perciò la regala o la svende tanto da sminuirne completamente la portata. E tutto questo non è davvero un indice di grande considerazione per la mia categoria professionale.

I due fenomeni sono, in fondo, le due facce di una stessa medaglia. L’uno e l’altro dimostrano che in realtà la gente non sa in cosa consista la nostra professione, e tende perciò di volta in volta ad idealizzarla oppure a sminuirla, secondo le circostanze.

Rinuncerei volentieri ad un po’ della mia vanità: accetterei volentieri,  fra persone appena conosciute, gli stessi commenti che solitamente si riservano ad un commercialista, pur di avere un mestiere che fosse, finalmente, considerato normale.

(Da “Il corsivo di Oscuro”, in Luce e Design, n. 4/2007)

Progettazione illuminazione esterna edifici storici