Hair Stylist

1024 772 STUDIO MASSIMO IARUSSI

Andavo a farmi i capelli da un barbiere piuttosto anziano. Aveva un garzone gentile e servizievole, e una bottega che sembrava uscita da un film del neorealismo. Le poltrone di finta pelle bordò con la base  bianca porcellanata, e  l’illuminazione che lui chiamava al “neon”, come fanno tutti quelli che,  immuni dalle pignolerie di noi professionisti del settore, non devono  preoccuparsi di chiamarla “fluorescente”.

Quando finalmente ha deciso di ritirarsi in pensione,  ha ceduto l’attività al suo ragazzo di bottega. Quest’ultimo, fino a quel momento timido e  riservato, ha improvvisamente sfoggiato una insospettata intraprendenza. E così, ossigenati i  capelli e alogenato il negozio, ha fatto tingere le pareti in color fuxia. Musica techno a tutto volume, e giù la vecchia insegna con su scritto “Salone”, sostituita con una nuova (questa sì, al neon) che diceva:   “Hair Stylist”.

Purtroppo per lui, però, non è stato un gran successo. I vecchi clienti  non si sentivano più a proprio agio e poco a poco hanno smesso di andarci.  Certo, al loro posto un po’ di giovanotti hanno cominciato a frequentare quella bottega fantasmagorica: anche loro però ne venivano via poco soddisfatti, giacché il nuovo “hair stylist” non aveva fatto in tempo ad imparare dal suo vecchio maestro i tagli adatti a soddisfarli. Il vecchio negozio aveva certamente bisogno di una rinfrescata, ma forse lui aveva esagerato un po’…

Morale: un nome inglese e un po’ di effetti speciali non sempre sono sufficienti a garantire il successo alla propria attività. E questo vale anche per alcuni  “lighting designers”.

(Da “Il corsivo di Oscuro”, in  Luce e Design,  n. 1/2007)

Illuminazione museale